OpenSchool ADi Umbria 2014 Seminario su “La buona scuola”
Lunedi 27 ottobre, nei locali dell’IISST – Liceo Majorana di Orvieto, si è tenuto il seminario organizzato da ADi Umbria su “La buona scuola” secondo il programma a suo tempo comunicato. Dopo il saluto di Cristina Croce, assessore all’istruzione del Comune di Orvieto, di Elvira Busà, DS dell’IISST che ospitava il seminario, e della dottoressa Sabrina Boarelli in rappresentanza dell’USR dell’Umbria, ha introdotto e coordinato i lavori Franco Raimondo Barbabella, Presidente ADi Umbria.
Le relazioni di base sono state tenute da Alessandra Cenerini, Presidente nazionale ADi, Elisabetta Nanni, Formatore, Insegnante presso IPRASE Trentino, Gino Roncaglia, Direttore Master in E-Learning all'Università degli Studi della Tuscia. Sono poi intervenuti per la presentazione di alcune esperienze di innovazione delle scuole dell’Umbria, a significare che il rinnovamento se si vuole si può fare con metodo perché ci sono le forze per farlo: Sabrina Boarelli (USR Umbria), Roberto Albini (IIS Cassata – Gattapone, Gubbio), Marcello Rinaldi (ISIS Ciuffelli – Einaudi, Todi), Simona Marchini (I.C. Orvieto – Baschi), Lorella Monichini (IISST Orvieto, Liceo Majorana), Giuseppe De Ninno (IISST Orvieto, Liceo Majorana), Massimo Belardinelli (1° Circolo didattico S. Filippo, Città di Castello).
Al termine è stato approvato il documento che segue.
Un contributo per una scuola eccellente
Ci chiediamo anzitutto perché, nel momento in cui si vuol fare una riforma epocale, ci si fermi all’idea che la scuola al massimo può essere buona. Perché non eccellente? È questa dunque la prima osservazione: il documento proposto dal governo sollecita diverse innovazioni, di quadro e di settore, anche molto significative, ma si ferma sempre ad un passo da un’innovazione coerente e coraggiosa di sistema che elimini alla radice le contraddizioni e in un tempo ragionevole permetta di raggiungere i livelli di qualità dei paesi più sviluppati. Insomma, abbiamo l’impressione di un approccio riformatore timido e contraddittorio. Dunque non solo migliorabile, ma proprio da migliorare.
Che cosa ci piace
- L’idea che i problemi della modernizzazione della scuola debbano essere affrontati in modo contestuale.
- La rottura con l’andamento lento dei cambiamenti possibili.
- L’idea che la scuola sia il veicolo per permettere al Paese di tornare ad essere competitivo.
- Il messaggio che l’intera società debba farsi carico non solo dell’urgenza e del peso delle trasformazioni, ma anche dei modi di dare nuovo slancio e fiducia al sistema.
- L’affermazione della necessità di un nuovo stato giuridico del personale docente, delineandone un profilo finalmente adeguato ai compiti di una scuola a cui si intende affidare un ruolo socialmente rilevante e che deve funzionare secondo obiettivi e parametri definiti e rendicontati.
- La volontà di stabilizzare il corpo docente, superando i perversi meccanismi legati al precariato, che riproducono continuamente la necessità di sanatorie e generano insieme fenomeni di dequalificazione e di disaffezione (ma con i limiti di cui appresso)
- La prospettazione di una possibilità di carriera sia dei docenti che dei dirigenti, dando avvio al superamento dell’appiattimento professionale, che è ad oggi uno degli ostacoli fondamentali al miglioramento del sistema scolastico italiano (anche qui con i limiti di cui appresso).
- L’intenzione di realizzare pienamente l’autonomia scolastica con le connesse affermazioni che non c’è vera autonomia senza responsabilità, non c’è responsabilità senza valutazione, non c’è autonomia senza buona governance.
- Infine l’idea di una scuola che si apre a se stessa, al territorio e al mondo. Una scuola in cui “la tecnologia non deve spaventare. Deve invece essere leggera e flessibile, adattandosi alle esigenze di chi la usa, allo stile dei nostri docenti, alla creatività dei nostri ragazzi”.
Che cosa ci piace poco o non ci piace affatto
Tutto questo va bene, ma vediamo se alle buone intenzioni e alle buone affermazioni corrispondono indicazioni operative coerenti. Partiamo dalla constatazione che nel tempo si è determinato un groviglio di problemi che è difficile affrontare senza toccare interessi e anche sensibilità, ma che cionondimeno è assolutamente necessario affrontare contestualmente e con coraggio. Con la conseguenza che compromessi al ribasso non sono più compatibili con lo stato reale delle cose.
Basti accennare ad alcune delle questioni più rilevanti: la sicurezza e la modernizzazione degli edifici; la banda larga per tutte le scuole e l’uso sistematico delle tecnologie digitali; il superamento della didattica sequenziale e ripetitiva e il passaggio a processi di scoperta e costruzione interattiva dei saperi; l’autonomia reale delle scuole, con la possibilità di un budget certo, un organico funzionale da scegliere e valutare, figure di sistema stabili, formazione obbligatoria e valutazione periodica, carriere e relativi stipendi fondati su meriti conclamati; un nuovo stato giuridico dei docenti e una governance preparata e moderna; curricoli snelli e con materie opzionali; adozione del modello dell’istruzione duale secondaria professionalizzante; riduzione del percorso scolastico per l’uscita dal sistema a 18 anni; superamento dell’orario di cattedra rigido e passaggio all’orario onnicomprensivo con spazio adeguato al lavoro d’équipe. Insomma, un vero salto di qualità e finalmente la conquista di una logica di sistema.
Allora, le proposte governative così come attualmente formulate sono tali da consentire di affrontare efficacemente questo groviglio di problemi e di delineare una coerente seppur graduale riforma di sistema?
Non vogliamo rispondere con un no secco, ma certo il documento è farcito di limiti e contraddizioni proprio rispetto alle dichiarazioni di svolta con cui lo si intenderebbe caratterizzare. Vediamo da vicino:
- un’infornata di più di centoquarantamila docenti, che contraddice i pur proclamati criteri di qualità del sistema di assunzione e riproduce di contro la ben nota logica delle sanatorie periodiche;
- un’autonomia delle istituzioni scolastiche che resta ancora sospesa a metà tra affermazioni di principio e strumenti insufficienti;
- la promessa di un nuovo stato giuridico del personale docente e però contemporaneamente una troppo timida prospettazione di carriera professionale così come una progressione economica ancora su 35 anni e contingentata a priori (assurdo l’aumento di stipendio ogni tre anni limitato ad un astratto limite percentuale del 66% del corpo docente e non basato invece su una appropriata verifica del merito realmente esistente in una determinata scuola, non tanto e comunque non solo come merito individuale ma soprattutto come “capitale sociale”, come apporto di ciascuno al miglioramento complessivo dell’istituzione scolastica);
- la modifica dei curricoli solo mediante il consueto aumento di materie e di ore e non invece, come in molti paesi, oltre all’uscita a 18 anni, con la flessibilità e l’opzionalità;
- il riferimento quasi di passaggio ad una via italiana al sistema duale, con ciò senza chiarire né la natura né il destino né la durata dell’istruzione professionale, e nemmeno aspetti importanti della sua organizzazione interna (ad esempio l’obbligatorietà dell’ufficio tecnico) o il rapporto di essa con l’istruzione tecnica e con gli ITS;
- la conservazione di un’organizzazione rigida delle cattedre e dell’orario al posto di un orario di servizio onnicomprensivo e incentivato, per di più nello stesso momento in cui si proclama in ogni paragrafo il passaggio a comportamenti flessibili;
- e poi nessun cenno ad una modernizzazione degli edifici in direzione di spazi aperti per un uso flessibile, né fissazione di tempi, investimenti e modalità certe, per le dotazioni di banda larga sufficiente e di tecnologie adeguate;
- non un cenno alla decentralizzazione del sistema con conferimento di poteri e responsabilità alle regioni;
- né un cenno alla cura degli aspetti relazionali e dell’assistenza psicologica mediante figure specialistiche da inserire in dotazione organica, come avviene nei paesi avanzati.
In sintesi
Siamo convinti che la svolta di cui parla il documento non solo è necessaria ma è anche possibile. Però può esserci solo se è reale, cioè coraggiosa e coerente. Dunque, ovviamente a nostro giudizio, se risolve le questioni che abbiamo evidenziato. Se dà speranza. Se fa pensare che questa volta non si tratta di affermazioni destinate a rimanere tali. Se, essendo credibile, mobilita le energie intellettuali, morali, culturali, oltre che economiche, di ogni scuola di ogni parte del territorio nazionale. E, infine, se farà scattare nelle amministrazioni regionali e locali l’orgoglio (oggi assente) di aiutare la scuola ad essere “una buona scuola”, meglio ancora, una scuola eccellente.