Storie di deportazione femminile nel Giorno della Memoria al Vetrya Campus di Orvieto
Ricordare per non dimenticare. Nel giorno della memoria al Vetrya campus di Orvieto il ricordo della barbarie nazista si focalizza sul campo di Ravensbrück. Il campo di concentramento femminile a 90 chilometri a nord di Berlino dove morirono oltre novantaduemila donne e in cui le prime a essere deportate furono delle dissidenti politiche.
L’esperienza delle poche che riuscirono a sopravvivere è racconto di violenza, fame, sporcizia, vergogna. Di bestiali turni di lavoro, di lacerazioni e soprusi, di annientamento della dignità, di morte. Lo stesso racconto che arriva da una sopravvissuta a quei giorni: Mirella Stanzione, spezzina, classe 1927 fu deportata nell’ottobre del 1944 e liberata nel giugno del ’45. Mirella con voce tremula, ma in un ricordo lucido e forte riporta alla mente quel drammatico momento:“Hanno bussato alla porta della nostra casa, sono andata ad aprire. C’erano dei soldati con un fucile imbracciato che mi hanno detto una sola parola: Raus!’, fuori”. Comincia così, il suo lungo viaggio verso Ravensbrück: dall’arresto, all’incarcerazione fino alla deportazione solo perché figlia e sorella di partigiani. La sua testimonianza, in un’intervista concessa agli studenti del Liceo Scientifico Majorana di Orvieto, è diventata anche un mini documentario realizzato da un gruppo di studenti del comprensorio scolastico orvietano e proiettato in questa speciale giornata della memoria.
La storia di Mirella Stazione è comunque emblema di quelle 132 mila donne deportate a Ravensbruck e delle migliaia bambini, dove l’identità si perde in un numero stampato su un triangolo per imprimere in modo incancellabile “la colpa” di ogni vittima. Ma la sua storia racchiude anche quella delle 38 mila sopravvissute che hanno continuato, anche fuori da quel lager “rosa”, a lottare contro il rimosso e lo stereotipo di una società che considerava le donne inferiori. Una storia al femminile che è dilaniante e costante ricordo di sofferenza.
Ma quel campo di concentramento ha ancora tante altre storie da raccontare e che in questa commemorazione trova, nelle parole di alcuni brani letti dagli studenti e tratti da “Lasciami andare madre” di Helga Schneider, la storia di chi fu aguzzino e scelse di schierarsi dalla parte del male. Parole che prendono forma e corpo negli scatti che scorrono sullo sfondo dell’Auditorium Vetrya. Gli scatti di Ambra Laurenzi, figlia di Mirella Stanzione e presidente del Comitato Internazionale di Ravensbrück che fissano ed evocano quell’orrore. E in questa giornata di memoria tornano a essere protagoniste quelle storie a lungo taciute e lo fanno anche attraverso la dottoressa Emanuela D’ambrosi, una giovane storica ternana la cui tesi di laurea centrata sul campo di Ravensbrück.
A concludere i lavori di questo partecipato incontro Luca e Katia Tomassini, cofondatori del Gruppo Vetrya, che nei loro interventi hanno evidenziato come sia sempre più indispensabile, in questi tempi dove la comunicazione è in vorticoso cambiamento, riportare costantemente alla memoria eventi così tragici. Per non dimenticare, mai.
Hanno collaborato alla stesura dell’articolo:
Alice Tamarelli
Eleonora Graziani
Daniele Prili
Giulia Parrini
Studenti del laboratorio “L’informazione è capitale civile”